Cosa sono e come gestire gli attacchi di panico

Abbiamo tutti sentito parlare spesso di attacco di panico ed è capitato a molti di noi di vivere questa esperienza molto intensa e debilitante. Si tratta di un argomento molto trattato ma allo stesso tempo fonte di dubbio e incertezza.  

Di cosa si tratta veramente? Come prevenirlo e come intervenire quando si manifesta?In questo articolo cercheremo di fare maggiore chiarezza e di aiutarti a capire meglio come aiutare te stesso o le persone care che ti circondano.

Il termine panico deriva dal dio Pan che, nella mitologia greca, era una divinità silvana dall’aspetto di un satiro. È una divinità che viveva nei boschi e che spesso si adirava con chi lo disturbava, emettendo urla terrificanti e spaventose che provocavano una paura incontrollata in chi lo sentiva.

È proprio di paura incontrollata che parliamo quando abbiamo a che fare con un attacco di panico.

Che cos’è un attacco di panico?

L’attacco di panico è un episodio di ansia intollerabile e improvvisa, spesso in assenza di un particolare motivo reale. Ha un inizio e una fine ben precisi, raggiunge l’apice velocemente ed è generalmente di breve durata.

Le crisi di panico sono accompagnate da sintomi somatici e cognitivi specifici che si alimentano a vicenda creando una escalation. Chiunque abbia sperimentato un attacco di panico lo racconta come un’esperienza terribile, che coglie all’improvviso e su cui non si ha controllo, soprattutto la prima volta.

Data l’intensa esperienza provata si può intuire come la paura di sperimentare un nuovo attacco di panico possa diventare dominante e invasiva.

Quali sono i sintomi dell’attacco di panico?

L’attacco di panico è caratterizzato da sintomi somatici e cognitivi ben precisi. I principali sintomi somatici sono:

  • Palpitazioni, tachicardia, battito cardiaco accelerato
  • Frequenza respiratoria accelerata
  • Dispnea, senso di soffocamento
  • Sensazione di asfissia
  • Sudorazione
  • Agitazione
  • Tremori
  • Dolore o fastidio al petto
  • Nausea o disturbi addominali
  • Sensazione di vertigini, instabilità, di “testa leggera” o di svenimento
  • Parestesie (torpore o formicolio)

I sintomi fisici sono accompagnati da sintomi cognitivi:

  • Sensazione di perdita di controllo
  • Paura di impazzire
  • Paura di morire
  • Derealizzazione (sensazione di irrealtà)
  • Depersonalizzazione (sensazione di essere distaccati da se stessi)

Ad aggiungersi a questi sintomi è il forte bisogno di fuggire dal luogo i cui si sta manifestando l’attacco di panico. Spesso inoltre si sperimenta vergogna e inadeguatezza con paura di essere giudicati socialmente.

Quanto dura un attacco di panico?

La crisi solitamente non dura più di 20-30 minuti, nella maggior parte dei casi i sintomi raggiungono l’apice in 10 minuti per poi svanire nell’arco di pochi minuti.

Quando parliamo di attacco di panico non necessariamente si manifesteranno tutti i sintomi elencati poco prima, molte crisi vedono l’espressione di solo alcuni di essi.

Inoltre la durata, la gravità e la frequenza degli attacchi possono modificarsi nel tempo anche a seconda delle situazioni e della fase di vita che si sta vivendo.

Quando si parla di Disturbo di Panico?

Come abbiamo visto l’attacco di panico si manifesta in modo improvviso, intenso e inaspettato. Spesso un singolo attacco di panico può sfociare in un vero e proprio Disturbo di Panico che si caratterizza dalla presenza di ripetuti attacchi di panico improvvisi seguiti dalla preoccupazione di un attacco futuro e in alcuni cambiamenti nel comportamento che hanno come obiettivo quello di evitare situazioni in cui si può manifestare un prossimo attacco.

Perché spesso si associa all’Agorafobia?

Le risposte comportamentali sbagliate agli attacchi possono avere ripercussioni anche gravi e limitare di molto la quotidianità della persona che li sperimenta. Si iniziano ad evitare attività e situazioni per cercare di prevenire l’insorgenza di ulteriori attacchi o ad affrontarle solo se accompagnati.

Ecco quindi che si può instaurare un problema di Agorafobia, cioè forte paura di trovarsi in luoghi da cui è difficile allontanarsi o nei quali è difficile ricevere aiuto in caso di attacco di panico improvviso.

Questo comporta chiaramente anche dei cambiamenti a livello famigliare, lavorativo, relazionale e sociale che mettono in difficoltà la persona che vive gli attacchi ma anche familiari e persone a loro vicine.

L’agorafobia può essere diagnosticata anche senza la presenza di attacchi di panico, in questo caso si hanno crisi di ansia simili al panico ma senza tutte le caratteristiche dell’attacco di panico vero e proprio.

Cosa sono gli attacchi di panico notturni?

Fino ad ora abbiamo parlato di attacchi di panico diurni, esistono però anche gli attacchi di panico notturni. I sintomi più frequenti di questi particolari attacchi sono: tachicardia, fiato corto, angoscia, tremori, dolore al petto, vampate di calore.

La persona che ha sperimentato un attacco di panico notturno può sviluppare difficoltà ad addormentarsi per il timore di avere un’altra crisi, può essere in stato di allerta nelle ore che precedono l’addormentamento o cercare di evitare o ritardare di andare a letto.

Alla luce di questi comportamenti è facile intuire come sia frequente l’instaurarsi di disturbi del sonno e l‘aumento dei livelli di stress.

Quali sono i fattori di rischio?

Le cause dell’attacco di panico possono essere diverse e spesso non sempre identificabili. Gli studi svolti fino ad ora su questo tema individuano alcuni fattori di rischio che spesso interagiscono tra loro:

  • Interpretazioni erronee e catastrofiche di sensazioni fisiche o mentali (es. interpretare battito accelerato come infarto imminente.)
  • Eventi stressanti che possiamo incontrare in una particolare fase della nostra vita e che abbiamo difficoltà a gestire (es. nascita di un figlio, trasferimenti, cambio di lavoro, lutti etc).
  • Predisposizione genetica per ansia e attacchi di panico, si pensa che diversi geni possano conferire vulnerabilità per gli attacchi di panico.
  • Familiarità, c’è un aumento del rischio di sviluppare un disturbo di panico tra i figli di genitori con disturbi d’ansia.
  • L’ambiente familiare e alcune esperienze di vita possono averci insegnato che il mondo è un luogo pericoloso e che noi siamo inadeguati per affrontarlo creando quindi vulnerabilità all’ansia e agli eventi esterni.
  • Abusi sessuali e fisici in età infantile.
  • Affettività negativa, cioè la predisposizione a vivere emozioni negative e sensibilità all’ansia.

Per spiegare perché arrivano gli attacchi di panico esiste un modello ideato da Clark nel 1986 secondo cui gli attacchi di panico si manifestano quando le persone percepiscono alcune sensazioni corporee spiacevoli e pensieri di ideazione in realtà innocui, come molto pericolose.

Per esempio interpretano un normale incremento di battito cardiaco come un segnale di un infarto. La preoccupazione per questi sintomi non fa altro che aumentare dando il via a quello che viene chiamato “circolo vizioso del panico”.

Come curare gli attacchi di panico?

Se il disturbo non viene trattato il decorso usuale è cronico. La Terapia Cognitivo Comportamentale è ad oggi riconosciuta come la terapia più efficace per gli attacchi di panico. Gli interventi si basano su alcuni protocolli strutturati da seguire durante il percorso terapeutico.

Secondo il modello cognitivo comportamentale non sono le situazioni o gli eventi in se a spaventare ma il modo in cui vengono interpretati. Durante il trattamento il focus sarà quello di:

  • Identificare le fonti di stress.
  • Avere più consapevolezza rispetto a ciò che si prova
  • Identificare i pensieri disfunzionali.
  • Esercitarsi a mettere in dubbio questi pensieri.
  • Sostituire i pensieri disfunzionali con pensieri funzionali più vicini alla realtà e più utili al raggiungimento degli obiettivi.
  • Smettere di mettere in atto l’evitamento (in cui si evita di entrare in contatto con situazioni che si temono) attraverso specifiche tecniche comportamentali.

Durante la terapia spesso vengono proposti anche percorsi di rilassamento come il Training autogeno o percorsi di Mindfulness. La terapia farmacologica resta una terapia di seconda scelta, da preferire comunque come supporto ad una psicoterapia.